WhatsApp, ti becchi 10 anni in carcere se lo usi così | Tutto vero: la prima sentenza arriva da Messina

Punibile con la legge (pixabay.com) -www.cosediviaggio.it
La Cassazione stabilisce che accedere a WhatsApp in questa maniera è un crimine informatico: fino a dieci anni di detenzione.
Esistono confini che, una volta superati, non solo rompono i legami personali, ma portano anche a serie ripercussioni legali. Siamo in un’era in cui la tecnologia facilita l’accesso a qualsiasi tipo di dato, ma ciò che è tecnicamente fattibile non è necessariamente legittimo.
Proteggere la privacy, in particolare quando sono coinvolti dispositivi elettronici e app di messaggistica, è diventato un tema centrale nei tribunali.
La linea che divide curiosità e reato può essere più sottile di quanto si immagini. Le sentenze che regolano queste questioni ci ricordano l’importanza di rispettare la privacy personale e digitale degli altri.
In questo contesto, il sistema giudiziario inizia a stabilire precedenti significativi. Anche noi ne abbiamo parlato proprio di recente, seppur esplorando un altro tema: ovvero quello relativo alla diffamazione, sempre attraverso l’uso delle messaggistiche private.
Lo specifico dei fatti
Come riportato da Adg Informa, la Corte di Cassazione ha affermato che monitorare WhatsApp del partner senza permesso costituisce un reato, con pene che possono arrivare fino a dieci anni di carcere. Questa decisione è il risultato di un caso legale che ha coinvolto un uomo di Messina, il quale aveva utilizzato screenshot di conversazioni e chiamate della sua ex moglie come prove in un processo di separazione. Nonostante l’appello dell’uomo, la Cassazione ha confermato la decisione emessa in Appello, ritenendo illegittimo l’accesso al telefono della donna.
La sentenza chiarisce che l’uso non autorizzato di un telefono cellulare, anche se temporaneamente prestato dal legittimo proprietario, rappresenta il reato di intrusione nel sistema informatico. Sappiamo bene che WhatsApp è un’app creata per gestire la comunicazione tra gli utenti tramite messaggi, chiamate e videochiamate, utilizzando reti informatiche per trasmettere i dati, combinando hardware, software e reti per fornire il servizio; pertanto, in questo contesto, la violazione è riconosciuta come un’intrusione ingiustificata nella sfera privata di un altro individuo.
I casi precedenti
Il comportamento dell’uomo non è però un caso isolato: nel 2022 era stato già denunciato dalla stessa donna per averle preso il telefono, protetto da password, e per aver copiato i dati senza permesso. Il fatto che i dispositivi fossero bloccati tramite codice di accesso, secondo la sentenza, rappresenta un’aggravante, poiché dimostra l’intenzione esplicita di compromettere la sicurezza per ottenere informazioni private.
In conclusione, capiamo da questa vicenda che se il proprietario consente l’uso del proprio smartphone, questa autorizzazione, come evidenzia la Cassazione, è valida solo per un tempo limitato. La grande novità di questa vicenda, è che sia il primo caso in Italia in cui l’accesso non autorizzato a WhatsApp tra coniugi è stato trattato come reato informatico.